venerdì 8 ottobre 2010

Intervista a Piero Ignazi

di Davide Ferrari

Caro Direttore, innanzitutto le chiediamo quello che stiamo chiedendo a molti fra i principali intellettuali, scrittori, ricercatori italiani.
La scuola avverte le conseguenze concrete di una politica di tagli, di sottrazioni
rilevantissime. in molti pensano ancora sia routine, la prosecuzione di indirizzi di risparmio che sono più o meno obbligati, più o meno per tutti. Invece la scuola pubblica avverte di essere sotto attacco come mai prima. Allora, si tratta solo di tagli o c'è qualcosa di più?


Dietro ai tagli c'è molto di più. Bisogna fare un discorso di carattere culturale più generale, riconoscendo nel governo e nella Destra una precisa intenzione di
svilire il valore della cultura.
Questo svilimento è diventato in modo via via più trasparente un connotato del berlusconismo.
Così la deleggitimazione del ruolo e della funzione degli intellettuali,e la contestuale deleggitimazione delle sedi pubbliche.
Il favore è andato all'istruzione privata e cattolica oppure ad un macroscopico sostegno all'Irc nelle scuole pubbliche.
A questa impostazione di fondo, di lungo periodo, che peraltro il centrosinistra non ha saputo contrastare con un'azione di governo efficace, quando se ne è avuta l'occasione, seguono ora politiche conseguenti, con i tagli e la riduzione programmata dell'intervento pubblico.

Ci invita a saper interpretare l'orientamento di fondo, la finalità delle scelte del governo, rivolte allo smantellamento di tutto ciò che fa riferimento al pubblico?

Sì, assistiamo al rovesciamento dell'ottica rivolta al superamento delle disuguaglianze sociali, prima condiviso al di là dei diversi orientamenti delle forze politiche,e un rifiuto dell'universalismo degli interventi pubblici. Si vuole un sistema dove le risorse valgano esplicitamente più dei valori e del principio delle pari opportunità.

Cosa pensa dell'insistenza sul concetto di "merito"?

Sul tema del merito si è avuto uno dei punti vuoti più grandi, dei più grandi pasticci fatti dal fronte progressista. E' stato un grave errore non averlo mai cavalcato in maniera corretta e convinta lasciandolo in mano alla destra.
Invece il criterio del "merito" è l'unico strumento equalizzatore.

Noi di Riforma pensiamo che la promozione del merito, criterio peraltro costituzionale, sia da associare alla promozione di un generale estensione delle opportunità formative. Se viene applicata ad una riduzione della scuola e dell'Università diventa altro. Sul nodo "Qualità-Quantità" ci piace riprendere una bella affermazione di Umberto Cerroni: " Ci vuole una grande quantità di uomini e donne di qualità".


L'espressione è efficace, tuttavia, pragmaticamente bisogna vedere in ogni passaggio di fase dell'azione di governo dove investire E' necessario scegliere,
per equilibrare l'investimento fra la diffusione ancora più vasta degli strumenti di base e la promozione di una qualità più forte.
Occorre necessariamente commisurare le due esigenze, l'obiettivo, direi così, dovrebbe essere quello di avere molti bravi.

Sul nodo irrisolto e forse irrisolubile fra qualità e quantità si situano anche le vaste "letterature critiche" della scuola. Quali sono, a suo avviso, i punti più difficili della concreta esperienza formativa che abbiamo raggiunto in Italia?

Rispondo anche come docente universitario. La mia convinzione è che, dopo la nostra generazione che ha vissuto, giustamente, come traguardi la nascita della scuola media unica e l'allargamento dell'accesso e dell'obbligo, oggi sia doveroso e urgente verificare le condizioni di uscita al termine dell'obbligo.
Quali sono i risultati che la formazione di base ottiene?
Io credo che occorra lavorare molto sulla e per la scuola di base.
I problemi, a differenza di quanto spesso si afferma, nascono li' non solo nella secondaria superiore.
L' alfabetizzazione primaria è insufficiente e, di grado in grado, si trascina il peggio.
Dopo di che, mentre terminato l'obbligo la qualità dovrebbe prevalere, non è così e
all' Università arrivano troppi, non in senso numerico ma rispetto a quanti poi si laureano.
Non è possibile avere persone che non scrivono correttamente in italiano, all'Università.

Guardiamo alle cause di quanto lei denuncia. C'è un declino della scuola, un peggioramento nel livello dei saperi acquisiti? Forse, più che la precarietà dei vagli qualitativi interni al sistema entra in gioco, qui, anche il grande peso di altre forme, mediatiche, di apprendimento.

Sì certamente, anche se, per chiarezza occorre dire che il declino non è sempre vero. O meglio non ci si può fermare ai luoghi comuni sul buon tempo andato.
Anche in passato la qualità era spesso scarsa.
Non lodiamo troppo il passato. Certo, oggi, le isole di qualità sembrano dovute interamente allo sforzo decisivo degli studenti e dei migliori insegnanti. Non c'è un'organizzazione che si orienti alla qualità e la promuova.
Questo appare evidente all'Università, dove le difficoltà, tutte, arrivano e si sommano.
E' una mia opinione controcorrente: il "3+2", oggi tanto criticato ha fatto miracoli, ha ridotto i percorsi senza esito ed ha fornito una prima esperienza di programmazione rivolta al superamento delle difficoltà.
Anche il dibattito critico non deve rivolgersi al passato, tornare ad una visione tutta idealistica e teoricistica, travolgendo quanto di meglio si è fatto, sul piano dell'ordinamento, dell'organizzazione efficace degli studi.


Piero Ignazi, professore ordinario all'Università di Bologna è direttore de "Il Mulino".